Con la nuova stagione di Serie A alle porte, L’Ultimo Uomo utilizza i dati avanzati di Hudl Statsbomb per analizzare alcuni giocatori pronti a lasciare il segno
Noa Lang (Napoli)
Prima di arrivare a Napoli, ormai da 13 anni Antonio Conte non era più solito usare ali. Da allenatore che ha riportato in auge il 3-5-2 anche in Europa, se gli era capitato di allenare esterni offensivi – come al Chelsea con Hazard, Pedro e Willian o al Tottenham con Kulusevski – lo aveva riadattati al ruolo di mezzepunte all’interno di un 3-4-2-1. In azzurro, però, per le caratteristiche della rosa il tecnico pugliese avrebbe dovuto ritornare alle origini, a quando le ali erano tra i principali protagonisti del suo gioco (Conte a inizio carriera in Italia aveva la fama di integralista del 4-2-4). Non è bastata nemmeno la cessione di Kvaratskhelia al PSG a fargli cambiare idea: il Napoli doveva giocare con due ali.
È naturale, allora, che appena dopo la conquista dello scudetto una delle prime mosse sia stata quella di assicurarsi un esterno offensivo nuovo fiammante. E la scelta, anche in maniera sorprendente, è ricaduta su Noa Lang.
Di Lang si sente parlare da anni, ma è solo nell’ultima stagione che ha raggiunto finalmente il picco della carriera. In Eredivisie con 11 gol e 10 assist è stato decisivo per la vittoria del campionato del PSV. In Champions League, poi, ha giocato grandi partite contro avversari come PSG e Juventus.
Insomma, questo era il momento giusto per Lang per tentare l’avventura in uno dei cinque principali campionati europei. Cosa avrà da offrire al Napoli di Antonio Conte? Ritroverà situazioni simili a quelle del PSV?
La squadra di Bosz era abituata ad attaccare in maniera molto diretta, giocando spesso lungo sulla punta Luuk de Jong per arrivare sulla trequarti con i suoi duelli aerei e le seconde palle. Da lì, uno degli obiettivi principali era isolare Lang sulla sinistra.
Da destrorso, Lang ovviamente preferiva rientrare sul piede forte. Non era comunque la sua unica soluzione. Grazie allo spunto in velocità, infatti, l’ex ala del PSV poteva anche puntare il fondo. Non è un caso che in Eredivisie fosse il terzo giocatore per allunghi ogni 90’.
Come detto, però, la sua opzione preferita era convergere sul destro. Lang poteva portare palla per molti metri in orizzontale, dall’esterno verso il centro (qualcosa di insolito rispetto alle ali al momento a disposizione di Conte: quanto glielo consentirà un allenatore così attento a non perdere palla in maniera rischiosa?). Il suo obiettivo principale era trovare la porta. Come si può vedere dal grafico in basso, infatti, buona parte dei suoi dribbling sono culminati in un tiro in porta.
L’altra opzione una volta saltato l’uomo o mentre converge palla al piede, è cercare il triangolo. Il PSV alzava tanti uomini a ridosso del limite dell’area con cui Lang poteva dialogare. In particolare, poteva avvalersi delle sponde spalle alla porta di uno specialista come Luuk de Jong. Viste le caratteristiche, si può immaginare allora che Conte possa provare a proporre lo stesso tipo di dinamica con Lukaku, altro che dà il meglio spalle alla porta.
In ogni caso, dribbling, conduzioni e triangoli rivelano la tensione verticale di Noa Lang, che è si un giocatore con un certo gusto artistico nel gesto tecnico, ma è anche un’ala che cerca di arrivare in porta. Probabilmente lo è di più di quelle attualmente in rosa nel Napoli. La sua heatmap rivela quanto fosse abituato a sfondare sul lato corto dell’area.
Certo, va fatta la tara sul contesto. Il PSV in Eredivisie, da quando c’è Bosz, è una squadra estremamente dominante, che schiaccia i suoi avversari in modo quasi violento, per cui Lang passava la maggior parte delle sue partite accampato negli ultimi trenta metri.
Riusciremo in Serie A ad apprezzare la versione dell’olandese ammirata nell’ultimo anno? È difficile dirlo, visto che Lang si misurerà per la prima volta con un campionato di questo livello. Oltretutto il Napoli di Conte in attacco è una squadra meno spontanea rispetto al PSV, le ali sono portate a giocare in maniera più meccanica e devono fornire grande disponibilità al sacrificio. Lang col pallone ama improvvisare ed è più abituato a pressare che a ripiegare. Oltretutto, ha anche un carattere piuttosto fumantino. Non è scontato che riesca ad avere successo nel Napoli, ma le qualità tecniche e atletiche per imporsi anche in Serie A le avrebbe tutte.
Neil El Aynaoui (Roma)
Una delle telenovele dell’estate italiana è stata quella - piuttosto breve, a dire il vero - del triangolo amoroso formato dalla Roma, il centrocampista colombiano Richard Rios (allora centrocampista del Palmeiras) e quello franco-marocchino Neil El Aynaoui (del Lens). I tifosi giallorossi si erano ormai innamorati dei video YouTube di Rios e quando è diventato chiaro che la trattativa con il Palmeiras stava naufragando per una manciata di milioni (Rios, infatti, è poi finito al Benfica) se la sono presa con El Aynaoui, scrivendogli sui suoi profili social di non venire in a Roma.
Non c’è da stupirsi che i tifosi preferissero un giocatore come Rios: più offensivo palla al piede, più vistoso, più adatto al “calcio dei social”. El Aynaoui è un giocatore più pratico, con qualità più vicine alla media ma con un potenziale ancora da scoprire. Ha giocato appena due stagioni in Ligue 1, con un rendimento sempre simile anche se, alla fine della stagione 2023-24, si è infortunato ai legamenti del ginocchio. Si è piano piano imposto come uno dei centrocampisti più dinamici e completi del campionato, finendo la scorsa stagione con 5 gol su azione (più 3 su rigore), di cui 3 nelle ultime due partite contro Toulouse e Monaco.
È stato gestito da due allenatori che praticano un calcio aggressivo e verticale: Franck Haise, che lo ha avuto nella sua prima stagione in Ligue 1, è un ammiratore del calcio di Gian Piero Gasperini - nuovo allenatore della Roma - mentre Will Still (il più giovane ad allenare nei cinque principali campionati europei) ha portato il Lens ad essere la quarta squadra del campionato con l’indice PPDA più basso (8.6)
La passata stagione il Lens è stata la terza squadra in Ligue 1 per riaggressioni e riaggressioni nella metà campo avversaria, e dopo Thomasson e Diouf è stato Neil El Aynoaui ad effettuare più pressioni, riaggressioni e recuperi in stagione. Con 4.82 recuperi su pressione e 23.96 pressioni in media ogni 90’ El Aynaoui la scorsa stagione è stato rispettivamente nel 94° e 92° percentile.
El Aynaoui è stato anche il decimo giocatore del campionato per duelli aerei vinti, con 3.5 tackle e 1.7 intercetti in media ogni 90’ (numeri praticamente identici nella stagione ancora precedente, con Haise in panchina). Spesso corre a vuoto, o troppo istintivamente, facendosi aggirare dall’avversario (54° percentile per quanto riguarda i dribbling subiti) ma ha comunque un buon volume per quanto riguarda gli interventi difensivi: il margine di miglioramento starà proprio nel rendere più efficaci i suoi sforzi.
Lui stesso, presentandosi sui canali ufficiali della Roma, si è descritto soprattutto come un giocatore generoso che corre molto e sono sicuramente le sue qualità da grande lavoratore ad aver convinto Gian Piero Gasperini, che nelle prime amichevoli lo sta schierando al fianco di Manu Koné.
Sicuramente ha avuto un impatto il finale della scorsa stagione, con la doppietta al Monaco e il gol al Toulouse che lasciano pensare si tratti di un giocatore nel pieno della propria fioritura. Per El Aynaoui era arrivato il momento di un salto di categoria, dopo che un anno fa era saltato il trasferimento al Monaco per via dell’infortunio al ginocchio. Gian Piero Gasperini dovrà comportarsi come un esperto giardiniere, dando forma a una pianta rigogliosa, sfruttando le sue qualità difensive ed offensive al meglio. La Serie A è un campionato senza ombra di dubbio alla portata delle sue qualità atletiche, ma dal punto di vista tattico rappresenta una sfida interessante, che può farlo crescere ancora molto (dandogli magari la possibilità di esordire con la prima squadra del Marocco, già qualificato per il prossimo Mondiale).
Martin Vitík (Bologna)
Ancora prima di cedere Sam Beukema al Napoli, il Bologna aveva già scelto il suo sostituto: Martin Vitík. Difensore centrale ceco dal fisico statuario (193 centimetri), a soli 22 anni ha già collezionato 155 presenze con lo Sparta Praga, di cui quasi una trentina nelle coppe europee. Il direttore sportivo del Bologna, Giovanni Sartori, è molto abile in questo tipo di operazioni dai mercati “minori” europei, ma il ruolo che Vitík dovrà ricoprire è tutt’altro che semplice: Beukema è stato uno dei migliori centrali dell’ultima Serie A. Riuscirà davvero a sostituirlo?
Per il Bologna è una questione delicata: Beukema non era solo un eccellente difensore nei duelli individuali contro i centravanti della Serie A, capace di essere aggressivo e di non andare sotto in campo aperto, ma era anche un punto di riferimento nella costruzione dal basso. Due caratteristiche - aggressività e abilità palla al piede - che sono fondamentali per i difensori centrali nel sistema di gioco di Vincenzo Italiano.
Nello Sparta Praga Vitík giocava sul centro-destra in una difesa a quattro, proprio come farà al Bologna (accanto a Lucumì), e aveva compiti simili a quelli di Beukema, come si può osservare anche dai radar comparativi dell’ultima stagione, piuttosto simili.
Certo, finora Vitík ha giocato in un campionato molto meno competitivo della Serie A, in una squadra che spesso dominava gli avversari con più facilità rispetto a quanto avviene al Bologna. Bisognerà quindi vedere come si adatterà al calcio italiano, che aggiunge quasi sempre un livello di difficoltà ai nuovi arrivati.
Ma i suoi dati lasciano ben sperare. Quel tipo di aggressività portata sui portatori di palla avversari (le Pressures del radar sono praticamente identiche a quelle di Beukema – 9.84 contro 9.83) è un marchio di fabbrica dei centrali moderni: giocatori che non hanno paura di esporsi al duello fisico, anche in zone di campo teoricamente più scomode per loro.
Il Bologna di Italiano è una delle squadre che pressa di più e meglio in Serie A, e a Vitík verrà chiesto proprio questo: tenere alto il baricentro, cercare il duello individuale in ogni zona di campo. I suoi numeri nei tackle sono persino superiori a quelli di Beukema, vicini ai migliori interpreti del ruolo (oltre il novantesimo percentile), anche se andranno inevitabilmente rivalutati: gli attaccanti della Serie A non gli renderanno certo la vita facile come quelli del campionato ceco.
Italiano è un ottimo insegnante per i suoi difensori, ma chiede loro anche di prendersi rischi: difendere in uno contro uno in campo aperto, correre all’indietro per coprire ampie porzioni di campo. Da questo punto di vista, Vitik è ancora un po’ acerbo fisicamente e mostra qualche limite quando deve coprire tanto campo, soprattutto all’indietro.
Se il pressing del Bologna dovesse incepparsi, la sua difesa potrebbe soffrire la velocità delle ripartenze avversarie. Spesso, però, Vitík riesce a compensare questi limiti con ottimi istinti difensivi e con una netta superiorità nel gioco aereo, dove sfrutta non solo i centimetri, ma anche un buon posizionamento. È pericoloso anche nell’area avversaria, su calci d’angolo e punizioni: ha già segnato 16 gol in carriera, quasi tutti di testa.
Come detto, però, oggi un difensore non si giudica solo dalla fase difensiva, o almeno non più. Vitík ha anche un buon piede destro, che usa per indirizzare la manovra dal basso. Nello Sparta Praga toccava meno palloni rispetto a quanto faceva Beukema la scorsa stagione, ma la qualità è paragonabile. Vitík sa essere efficace soprattutto quando si tratta di rompere una linea con i suoi passaggi o con i lanci lunghi, come si può vedere dalla mappa che evidenzia i suoi passaggi in avanti. Il 32% del totale dei suoi passaggi sono in avanti, ben più del 21% di quelli di Beukema.
Per portarlo in Italia, il Bologna ha speso 11 milioni di euro più 4 di bonus, rendendolo di fatto uno degli acquisti più onerosi nella sua storia e affidandogli da subito un ruolo da titolare. È il segnale di una forte fiducia nelle qualità di Vitík e nella sua capacità di inserirsi nel gioco di Italiano. Anche il giovane centrale ceco appare sicuro di sé, ma l’impatto con la Serie A andrà valutato sul campo e nel tempo: stiamo parlando di un difensore di 22 anni alla prima esperienza in uno dei top 5 campionati europei. La sensazione, però, a vedere i numeri e le sue partite è che la scelta del Bologna sia stata giusta.
Christian Ordóñez (Parma)
All’inizio di febbraio il Parma cerca disperatamente di uscire dalla zona retrocessione ma non perde fiducia nel futuro, e chiude uno strano accordo per prendere uno dei giovani più interessanti del Velez Sarsfield. È Christian Ordóñez, mezzala argentina di origine paraguaiana, che verrà riscattata solo al raggiungimento della salvezza, che in quel momento sembra un miraggio. Per Ordóñez l’ultima parte di stagione del Parma diventa una specie di reality sul suo futuro e oggi lui la racconta con toni quasi millenaristici. «Se non si fosse verificata la cessione al Parma, un motivo ci doveva essere. Il trasferimento era stato definito, se fosse saltato sarebbe stato un segno del destino che quella non era la mia strada. Se Dio avesse scelto che questo non era il mio cammino, ci sarebbe stata un’altra direzione».
Alla fine Dio o chi per lui ha fatto salvare il Parma e Ordóñez all’inizio di luglio si è presentato in Italia, anche se in una situazione completamente diversa da quella che c’era al momento della sua firma. La squadra emiliana, da quando lo ha opzionato, ha infatti già cambiato due allenatori - ultimo l’artefice della salvezza, Christian Chivu - e anche la rosa è stata già profondamente rinnovata. Proprio l’arrivo di Ordóñez, d’altra parte, è probabilmente dettato dalla consapevolezza di avere i talenti migliori a centrocampo, e che in Serie A sarebbe stato difficile trattenerli. Mandela Keita, Adrian Bernabé e Simon Sohm, già venduto alla Fiorentina, costituivano un reparto di alto livello per la corsa salvezza, e anche per questa ragione le aspettative intorno a Ordóñez saranno inevitabilmente alte.
Non è l’unica ragione, ovviamente. I circa 10 milioni di euro non sono pochi per un centrocampista con numeri realizzativi modesti, anche uno titolare di un’importante squadra argentina a nemmeno 21 anni e che è stato inserito nella lista dei 100 migliori prospetti Under 20 dal CIES. Perché allora il Parma ci ha scommesso così tanto? Ordóñez è una mezzala molto elegante, dalla corsa leggera anche se non particolarmente veloce, tecnica con il destro (di cui sa usare tutta la superficie, compreso l’esterno) ma con una discreta sensibilità anche con il sinistro.
Il soprannome - El Tractor, cioè “il trattore” - non deve trarvi in inganno: non è un centrocampista particolarmente fisico e, per dire, non ha l’onnipotenza atletica di Sohm quando parte in conduzione. Ordóñez preferisce giocare il pallone sul corto, usare il corpo per eludere la pressione avversaria, ingannando il diretto marcatore su quale piede preferisce ricevere e su dove vorrà girarsi. Togliergli palla non è semplice ma non è un giocatore autosufficiente e avrà bisogno di un contesto che lo sostenga intorno a sé, e da questo punto sarà determinante Carlos Cuesta - il nuovo giovanissimo allenatore del Parma.
Ordóñez è quel tipo di centrocampista che cerca di dare ordine, rallentare i ritmi, anche se ha una buona visione di gioco e a volte trova delle soluzioni illuminanti che squarciano i sistemi difensivi avversari. Secondo Hudl Statsbomb, tra i giocatori del Velez Sarsfield, solo tre hanno realizzato più passaggi filtranti di lui (che ne ha realizzati 0.16 per 90 minuti). Non è un caso, insomma, se i suoi idoli attuali siano giocatori come Enzo Fernandez e Alexis Mac Allister, che sono un po’ l’ideale platonico del giocatore a cui Ordóñez aspira (soprattutto il numero 10 del Liverpool).
Senza palla è più istintivo: come la stragrande maggioranza dei centrocampisti preferisce difendere in avanti, e lo fa anche con buona applicazione, e negli uno contro uno va sempre per la palla con un intervento risolutivo. Questo lo rende scomodo per gli avversari da gestire ma a volte anche troppo irruento, e infatti i cartellini gialli non gli mancano (la scorsa stagione ha fermato il 57% dei dribbling avversari: una percentuale buona ma non eccezionale).
In definitiva, Ordóñez sembra fare della completezza il suo tratto distintivo - una caratteristica che può essere un’arma a doppio taglio. Portata alla sua massima espressione, la completezza è il tratto dei migliori centrocampisti, ma per quelli che non arrivano a questo livello può essere anche il sintomo della mancanza di una vera eccezionalità. Ordóñez è ancora giovane, e l’impatto con la Serie A sarà lungo da digerire, ma è all’interno di questo spettro che si scioglieranno le aspettative su di lui.
